Delitto e castigo

Auto­re: Fëdor Dostoe­v­skij
Gene­re: roman­zo filo­so­fi­co, psi­co­lo­gi­co 
1a pub­bli­ca­zio­ne: 1866
Casa edi­tri­ce: Einau­di (e altre)

Per­ché affron­ta­re 600 pagi­ne di un clas­si­co rus­so Otto­cen­te­sco?

La sof­fe­ren­za, il dolo­re sono l’i­ne­vi­ta­bi­le dove­re di una coscien­za gene­ro­sa e d’un cuo­re pro­fon­do. Gli uomi­ni vera­men­te gran­di, cre­do, deb­bo­no pro­va­re su que­sta ter­ra una gran­de tri­stez­za.”

ATTENZIONE: nel­l’ar­ti­co­lo sono con­te­nu­ti alcu­ni spoi­ler su par­ti impor­tan­ti del­la tra­ma. Nul­la di ecla­tan­te, ma se vole­te leg­ge­re con il gusto del­la sor­pre­sa, vi scon­si­glio di pro­ce­de­re!

Delit­to e casti­go è con­si­de­ra­to uno dei più gran­di roman­zi del­la let­te­ra­tu­ra rus­sa insie­me a Guer­ra e pace. È dif­fi­ci­le cer­ca­re di spie­ga­re ciò che que­sta let­tu­ra mi ha tra­smes­so, pen­so che il libro pos­sa con­si­de­rar­si in un cer­to sen­so “uni­ver­sa­le”: Dostoe­v­skij rie­sce, tra­mi­te ana­li­si filo­so­fi­che e psi­co­lo­gi­che, a pene­tra­re in pro­fon­di­tà in cia­scu­no noi.

Il rac­con­to è ambien­ta­to nel­la Pie­tro­bur­go dell’800 e le vicen­de ruo­ta­no intor­no a Rodion Roma­no­vič Raskol’nikov, uno stu­den­te espul­so dal­l’U­ni­ver­si­tà che vive in con­di­zio­ni di mise­ria, man­te­nu­to dal­la sorel­la e dal­la madre, moti­vo per cui è distrut­to dai sen­si di col­pa. Incat­ti­vi­to dal vede­re per­so­ne che lui con­si­de­ra spre­ge­vo­li e imme­ri­te­vo­li di ave­re suc­ces­so otte­ner­lo, Rasko­l’­ni­kov si deci­de a com­pie­re un atto estre­mo, nel­la sua testa qua­si com­pren­si­bi­le e giu­sti­fi­ca­bi­le.

Razio­na­li­sta ateo e posi­ti­vi­sta, Raskol’nikov è con­vin­to che la socie­tà sia divi­sa in uomi­ni e oltreuo­mi­ni, al di sopra del­la leg­ge, che supe­ra­no, gra­zie all’uso dell’intelletto, i pre­giu­di­zi e tabù del vol­go. Per que­sti indi­vi­dui l’omicidio, se con alti sco­pi, sareb­be leci­to (come nel caso di Napo­leo­ne).

For­te­men­te con­vin­to di appar­te­ne­re a quest’ultima cate­go­ria, Rasko­l’­ni­kov si deci­de ad ucci­de­re una vec­chia usu­ra­ia, meschi­na e cru­de­le: è chia­ro che sen­za que­sta vec­chia, il mon­do sareb­be un posto miglio­re, al pun­to che Rasko­l’­ni­kov fan­ta­sti­ca sul come il suo patri­mo­nio potrà veni­re spe­so per il bene dell’umanità… Eppu­re, for­se, non basta razio­na­liz­za­re un omi­ci­dio per distac­car­se­ne. Quell’atto che sareb­be dovu­to esse­re com­piu­to nel­la più tota­le indif­fe­ren­za, diven­ta la sua per­se­cu­zio­ne e la cau­sa del più atro­ce dei casti­ghi. E il casti­go più gran­de non sono gli spa­smi, i deli­ri psi­co­ti­ci, l’insonnia, la malat­tia. Il casti­go più gran­de è quell’ango­scia che lo tor­men­ta, l’angoscia di arri­va­re ad  un’unica, irre­ver­si­bi­le con­clu­sio­ne: for­se non era all’altezza del­le sue aspet­ta­ti­ve, non era un oltreuo­mo.

Il più pro­fon­do spun­to di rifles­sio­ne che il libro Delit­to e Casti­go mi ha dato è quin­di que­sto inter­ro­ga­ti­vo: 

Si trat­ta­va, effet­ti­va­men­te, di un fal­li­men­to di Raskol’nikov, oppu­re di sem­pli­ce ammis­sio­ne di uma­ni­tà?

Fran­ce­sca Busce­ti, Clas­se  2L –  Con­vit­to Nazio­na­le Umber­to I